La riflessione di
OFS e Gi.Fra. d’Italia sul referendum
Domenica 17 Aprile, dalle ore 7.00 alle ore 23.00 tutti i cittadini italiani
maggiorenni sono chiamati a votare per il cosi chiamato “Referendum sulle
Trivelle”.
Innanzitutto, il quesito referendario che si andrà a votare è questo:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata
di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di
salvaguardia ambientale“?
Più chiaramente, quello che viene chiesto è: «Volete che, a scadenza delle
concessioni, vengano bloccati i giacimenti in attività nelle acque territoriali
italiane anche nel caso in cui ci sia ancora gas o petrolio?».
Bisogna votare SI se si vogliono fermare alcune delle piattaforme di
estrazione degli idrocarburi o NO se si vuole che le piattaforme di estrazione
continuino l’attività estrattiva fino ad esaurimento del giacimento.
Qual è la posizione dei francescani secolari e dei giovani francescani
essendo chiamati, per Regola, a sostenere la salvaguardia del Creato?
La regola OFS è molto diretta: «Abbiano inoltre rispetto per le altre
creature, animate e inanimate, che “dell’Altissimo portano significazione” [1Cel 80; Cantico delle Creature 4], e si sforzino di passare dalla
tentazione di sfruttamento al francescano concetto di fratellanza universale».
Ed è altrettanto chiaro ed esplicito l’articolo 18.4 delle Costituzioni
OFS: «Seguendo l’esempio di Francesco, patrono degli ecologisti, promuovano
attivamente iniziative a salvaguardia del creato, collaborando agli sforzi per
evitare l’inquinamento e il degrado della natura, e per creare condizioni di
vita e di ambiente che non siano di minaccia all’uomo».
Ma proviamo ad addentrarci nel quesito referendario per comprendere bene
che cosa effettivamente venga chiesto.
Innanzitutto, il referendum non vieta le nuove trivellazioni: queste sono
già vietate dalla legge. Il referendum contempla solo alcuni impianti
estrattivi marittimi attualmente in funzione.
In Italia le attività estrattive sono effettuate sia sulla terra ferma che
in mare. Attualmente nei mari italiani sono all’attivo 106 installazioni per
estrarre metano o petrolio. Ormai hanno esaurito gran parte delle risorse che
erano disponibili quando furono realizzate decenni fa, ma i giacimenti sono
ancora assai grandi. Il referendum è riferito solo alle 21 piattaforme in
mare che stanno entro le acque territoriali italiane, ossia 12 miglia
marittime (22,2 Km). Per le mappe dettagliate vedere il seguente link.
Non ci saranno quindi effetti sui grandi giacimenti oltre le 12 miglia
dalla costa (cioè in acque internazionali di competenza economica italiana),
dove si prospettano riserve dalle dimensioni impressionanti (tratto da un articolo di Jacopo Giliberto - Il
Sole 24 Ore).
La mappa delle aree interessate al referendum è visibile qui sotto (tratta
dall’articolo della rivista Internazionale al seguente link.
In questi giorni i discorsi intorno al tema referendario (in
particolare sui social media) si moltiplicano e i toni si sollevano, come ovvio
d’altronde.
Nel caso vinca il SI le 21 piattaforme in questione verranno
chiuse e non potranno più estrarre dopo la fine delle loro concessioni, si
parla di 5 o 10 anni nel peggiore dei casi. Nel caso vinca il NO le 21
piattaforme continueranno a estrarre greggio e gas metano fino a fine vita
della riserva geologica, ed alcune di esse verranno potenziate come da
programma.
Chi vota NO teme per la perdita di eccellenze tecnologiche italiane e per
la perdita di posti di lavoro. Ma sia le eccellenze che i posti di lavoro
dovrebbero essere riassorbiti dagli altri impianti che rimarrebbero attivi. Un
altro argomento è l’indipendenza energetica italiana, che andrebbe a ridursi se
si chiudessero le estrazioni nazionali costringendo all’acquisto di petrolio e
gas dall’estero. Anche questo è un argomento molto debole dato che l’Italia è
un paese già di per sé dipendente per il 76,9% dall’approvvigionamento estero
(la media europea è del 53%!) e dato che la produzione associata alle
piattaforme oggetto del referendum non è significativa.
Le forze ambientaliste invece urlano al SI prospettando una sicura vittoria
contro il petrolio in favore di un mare pulito e sicuro da incidenti, di una
nuova era che si basa sulle energie rinnovabili.
Come francescani la risposta a questo referendum apparirebbe praticamente
scontata, spontanea, entusiasta ed ovviamente in favore delle energie
rinnovabili e del contestuale abbandono delle fonti fossili che creano tanto
inquinamento schierandosi, naturalmente e senza grandi storie, a favore del SI.
Ebbene, con grande umiltà, non possiamo nascondere che se vincesse il SI,
questo referendum non porterebbe ad un miglioramento significativo in termini
di nuovi “orizzonti rinnovabili”, ne tanto meno di una di riduzione dei rischi
ambientali nei nostri mari.
È eloquente la posizione contraria all’impostazione del referendum di Amici
della Terra, storicamente tra i primi nella promozione di iniziative concrete a
favore dell’ambiente. «Semplicemente, le attività di ricerca continuerebbero e,
anche per il futuro, i grandi giacimenti oltre le 12 miglia continuerebbero ad
essere sfruttati dagli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
L’Italia, invece, vedrebbe aumentare le importazioni di petrolio, il traffico
di petroliere nel Mediterraneo, le emissioni in atmosfera» (intervento di Monica Tommasi, presidente di Amici della
Terra).
La verità è che la strada della sostenibilità ambientale passa da un maturo
e deciso cambiamento degli stili di consumo e di approccio nell’utilizzo delle
risorse energetiche. Questo cambiamento non passerà certo da questo referendum
ma da un lento e costante impegno nel passaggio da fonti energetiche altamente
impattanti a meno impattanti fino al diffuso utilizzo di energie rinnovabili.
Ma non facciamoci illusioni. A livello europeo, gli obiettivi fissati al 2030,
parlano di una quota di produzione di energie rinnovabili pari al 27%. Questo
significa che nel 2030 si ha l’obiettivo di utilizzare le fonti fossili ancora
per oltre il 70%! È quindi molto più vantaggioso puntare sull’efficienza
energetica: produrre di più con meno energia tramite una maggiore coscienza dei
nostri consumi e con stili di vita più sobri. Questa è l’unica speranza
concreta per permettere alle energie rinnovabili di poter avere un ruolo
significativo nel panorama energetico futuro.
Ciò vuol anche dire che da qualcosa si deve pur partire. E si potrebbe
partire anche da alcuni segnali seppur poco pratici, cosa che questo referendum
potrebbe offrire.
D’altro canto votare NO o non andare a votare significherebbe lasciare
tutto così com’è. Significherebbe comunque dare un segnale di basso interesse
all’appello alla sostenibilità che Madre Terra urla ogni giorno.
Che fare, quindi? Votare SI o votare NO?
Tutto sommato, se proprio siamo chiamati oggi a rispondere ad un referendum
di questo tipo, per male che sia impostato, crediamo che sia preferibile votare
SI con la consapevolezza che non si risolverà con questo referendum il problema
ambientale a monte piuttosto che dare un segnale distensivo votando NO.
Crediamo si debba votare SI soprattutto per
dimostrare, se ancora non bastasse, che l’interesse per la situazione
ambientale è altissima, perché sia chiaro quanto il significato di questo SI
sia puramente politico, una reazione (forse “insulsa”) nei confronti di una
politica che finora, colpevolmente, non ha fatto abbastanza e dimostra
tutt’oggi di non fare abbastanza.
Nessun commento:
Posta un commento